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Se i migranti approdano in montagna

18 maggio 2017 Nessun commento

//tratto da Il Grigione Italiano\\
Echi dal convegno a Salecina e dalla serata pubblica a Maloja. Intervista ad Andrea Tognina.

Durante la scorsa fine di settimana, a Salecina si è svolto un convegno di esperti sul fenomeno dei rifugiati nelle Alpi, e a Maloja una serata pubblica dal titolo «L’immigrazione straniera nelle Alpi: una sfida per lo sviluppo». Intervista a uno degli organizzatori, Andrea Tognina.

Il convegno, al quale hanno partecipato studiosi, ricercatori, operatori di cooperative sociali e giornalisti provenienti da Austria, Italia e Svizzera, si è svolto nel Centro di vacanze e formazione Salecina. Mentre nella sala multiuso di Maloja, venerdì sera, c’è stato un incontro pubblico con tavola rotonda, dove si sono trovati a dibattere: Anna Giacometti, sindaco di Bregaglia; don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio (Como), vincitore del premio Alpi aperte e del premio Reset – diritti umani; e Andrea Trivero, presidente dell’Associazione «pacefuturo». Ha introdotto la serata Andrea Membretti, dell’Università di Pavia, mentre moderatore era Andrea Tognina, della Fondazione Salecina, che qui intervistiamo.

Qual era il tema centrale della serata?

Durante l’incontro pubblico a Maloja, come pure durante i tre giorni di convegno a Salecina, ci siamo concentrati su una questione a cui spesso non si pensa quando si parla di migrazioni: l’arrivo e la presenza di migranti, e in particolare di profughi, nelle regioni montane alpine.

La montagna è sovente utilizzata come luogo di isolamento dei profughi: è il caso per esempio dei centri per rifugiati di Valzeina o del Lucomagno, per citare esempi vicini a noi. Ma le regioni alpine, con le loro particolari dinamiche socio-economiche (perdita di posti di lavoro, spopolamento, invecchiamento della popolazione), possono anche diventare luoghi in cui l’accoglienza si trasforma in occasione di crescita e innovazione. Lo scopo del convegno era proprio mettere in risalto simili esempi di «buone pratiche».

Puoi riportarci qualcuno di questi esempi?

L’ingegnere Andrea Trivero ha parlato, nella serata pubblica, del caso di Pettinengo, un comune di 1’500 abitanti nel Biellese, in Piemonte, dove un progetto di accoglienza per i profughi, sviluppato in dialogo costante con la comunità locale, è servito a rilanciare alcune attività tradizionali della regione, in particolare nella produzione di tessili, e a creare nuovi posti di lavoro anche per la popolazione locale.

L’incontro di venerdì è stato inoltre l’occasione di ascoltare la testimonianza di don Giusto Della Valle, parroco di origini valtellinesi che ha avuto un ruolo di primo piano nella mobilitazione della società civile di Como in favore delle centinaia di profughi bloccati alla frontiera a partire dalla scorsa estate. Don Giusto ci ha ricordato una cosa molto semplice, ma che è utile ripetere a fronte di un dibattito pubblico che è spesso dominato dalla paura: l’accoglienza e la creazione di una rete di contatti e di amicizie servono a creare una società più solidale e quindi, alla fine, anche più sicura.

Sei soddisfatto della partecipazione del pubblico all’evento?

Se il convegno a Salecina è stato ben frequentato da ricercatrici, ricercatori e persone attive nell’ambito dell’accoglienza dei profughi, la serata pubblica ha visto una partecipazione piuttosto limitata di persone che risiedono nella regione. Da una parte il tema è forse percepito in modo meno diretto in Bregaglia e nell’Engadina alta, anche perché nella regione non esistono centri per richiedenti l’asilo. Anche l’orario e la stagione non hanno favorito una partecipazione ampia e probabilmente non abbiamo fatto abbastanza pubblicità per l’evento. Ma chi è venuto a Maloja ha dimostrato grande interesse per il tema e la discussione è stata molto interessante.

Sono stati raggiunti buoni risultati? Sono state formulate proposte concrete?

Il convegno ha permesso a ricercatrici e ricercatori italiani, svizzeri e austriaci di scambiare informazioni sulle ricerche in corso e di ampliare la propria rete di contatti, e già questo è un risultato importante. Il convegno è un primo passo verso la creazione di una rete di persone che nell’arco alpino e anche in altre regioni di montagna (in particolare l’Appennino italiano) lavorano su questi temi. Sono inoltre stati discussi i presupposti per altri progetti di ricerca.

Quindi si andrà avanti su questa tematica?

Sì. È già in cantiere la pubblicazione degli atti del convegno e si sta pensando concretamente anche alla creazione di strumenti per la divulgazione di esempi di «buone pratiche» di accoglienza nelle regioni alpine, strumenti che possono servire allo sviluppo di altri progetti analoghi. È possibile che l’esperienza del convegno sia ripetuta l’anno prossimo, anche se non ci sono ancora decisioni definitive.

E a livello locale, coinvolgendo la popolazione?

Alla luce delle interessanti discussioni scaturite durante l’incontro pubblico di Maloja, Salecina sta in ogni caso pensando a ulteriori attività su scala locale dedicate a questo tema, quali per esempio la proiezione di film o l’incontro tra gruppi e associazioni attive in questo ambito nei Grigioni, in Lombardia e in Ticino.

Leggi anche il nostro precedente articolo: Migranti nelle Alpi, nuovi montanari?

Ascolta anche Grigioni sera di martedì scorso (dal minuto 4′ 34”).

Silvia Rutigliano

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