Intervista con Claudio Gianotti
//articolo tratto da “Il Grigione Italiano”\\
Claudio Gianotti ha lavorato presso La Posta svizzera per 42 anni. Ha svolto l’intera attività a Promontogno, dove è rimasto fino al pensionamento, avvenuto a fine febbraio. Il suo posto di lavoro è ora stato assegnato, diviso in due tempi parziali, a due persone già dipendenti della Posta.
Ha amareggiato parecchie persone il fatto che La Posta abbia collocato nell’ufficio di Promontogno, dopo il pensionamento dell’attuale titolare, due suoi impiegati che già operavano in Bregaglia. Infatti, dalle assicurazioni dei dirigenti dell’ente al Municipio riguardo al mantenimento dell’ufficio con un 100 percento di impiego, molti avevano inteso che il posto sarebbe stato messo a concorso e quindi già vedevano un giovane nuovo impiegato e una nuova famiglia in valle.
Claudio Gianotti, al pari di tanti postini, è stato un punto di riferimento per la comunità. E nei suoi decenni di lavoro ha potuto osservare molti cambiamenti, sia all’interno dell’ente per cui lavorava sia all’esterno. Ora che è in pensione dedicherà il suo tempo soprattutto alle api e al miele, sua grande passione.
Claudio Gianotti, come stai da pensionato?
Bene. Benissimo. Sono proprio contento di essere finalmente in pensione.
Se guardi indietro, al tuo lavoro, cosa vedi?
È stato un lavoro bellissimo, che mi ha lasciato tanti bei ricordi. Durante la mia attività, soprattutto negli ultimi anni, ho visto molti cambiamenti. Alcuni positivi, altri invece negativi, perché hanno tolto alla professione quegli aspetti che facevano del buralista postale e postino un personaggio vicino alla gente. Per esempio abbiamo dovuto cominciare a vendere telefonini e altri prodotti che una volta alla posta non si trovavano.
In quale altro modo è cambiato il lavoro?
Prima si lavorava per la gente, e io coltivavo i rapporti con le persone. Per esempio, quando ho costruito la casa, ho affidato i diversi lavori alle imprese del paese. Era logico e normale: loro venivano regolarmente alla Posta, dove li servivo nel migliore dei modi, e poi ci incontravamo in paese, si mantenevano buoni rapporti, e mi sono rivolto a loro per i lavori che occorrevano a me.
E dopo, non erano più tuoi clienti?
Certo, ma è cambiato proprio il modo di lavorare. Prima si veniva pagati a punteggio: ogni lettera, ogni pacco, ogni sacco della posta dava dei punti e lo stipendio veniva calcolato in base ai punti accumulati. Non solo. Il servizio di consegna della posta veniva periodicamente cronometrato, e gli ispettori notavano come si poteva risparmiare tempo e quanto effettivamente era necessario. Così io avevo le mie ore pagate, ma se nel giro di distribuzione mi fermavo a cambiare una lampadina a casa di un cliente o a fare dei buchi col trapano a casa di un altro, era tempo mio che regalavo a loro. Non era pagato ma mi era consentito.
Chi erano i tuoi clienti?
Tutta la gente di Bondo, Promontogno, Spino, Sottoponte… poi il Comune di Bondo e l’Ospedale. Ottimi clienti, che hanno aiutato a mantenere l’ufficio e il lavoro.
Anche negli ultimi tempi eri pagato a ore.
Sì, ma le ore erano state molto ridotte, e in quelle poche ore dovevo svolgere tutto il lavoro. Non era consentito impiegare più tempo. Perciò oggi i postini vanno di corsa. La gente se ne accorge e dice: «povero postino, sempre di corsa», e rinuncia anche a chiedergli quello che le spetterebbe.
Oggi ci sono diversi postini che fanno il giro.
Abbiamo sette postini e postine che distribuiscono la posta nella valle. Il loro giro cambia in continuazione: è proprio l’opposto di come si faceva prima, quando noi postini conoscevamo bene ogni casa… Sembra che sia fatto apposta, per non farli fermare a parlare. E poi di queste sette persone, cinque abitano in Italia. Questo significa anche una perdita per i nostri negozi, per la vita dei paesi. Noi eravamo obbligati a risiedere nel comune di lavoro. Perciò io ho costruito la casa a Bondo. Forse era anche esagerato, perché avrei potuto benissimo viaggiare da Castasegna, ma era così.
I postini conoscono poco la gente e la gente conosce poco i postini…
Questo comporta anche una perdita di fiducia nel postino. Pensa che una volta mi è successo di ritirare una grossa somma di denaro a casa di un cliente, e gli ho portato le ricevute con il resto il giorno dopo. Ci conoscevamo molto bene e la gente aveva fiducia nella persona. Oggi anche il servizio a domicilio vien usato sempre meno (postino sempre di corsa) e così anche questo servizio pian piano verrà meno, la direzione della Posta dirà che il servizio è poco utilizzato e lo eliminerà.
Raccontaci qualche bella avventura.
Abitavo ancora a Castasegna, dai miei genitori, e una mattina mi trovo con un metro di neve e le strade non pulite. Dovevo andare a lavorare a Promontogno. Ma era impossibile… Be’, mi sono messo gli sci e mi sono recato al lavoro. A Sottoponte ho trovato anche una piccola slavina. Ho superato anche quella. Conservo ancora un ritaglio di giornale dove hanno raccontato la mia avventura.
Come portavi la posta, quando facevi la distribuzione?
Col carretto. Portavo anche i pacchi. Portavo scatoloni di cartone con le galline, perché c’erano diverse persone che a Bondo comperavano le galline. Quando c’erano gli animali erano pacchi espresso, e allora chiudevo l’ufficio e andavo a consegnarli. Ho consegnato galline, api, una volta un gatto. Oggi, per fortuna, non è più consentito inviare gli animali per posta.
Altre consegne originali?
Meno piacevoli erano le corone di fiori, soprattutto quando mi chiedevano di entrare fino alla camera dove c’era il morto. Non mi piaceva. Però una volta ne ho combinata una… Avevo caricato sul portapacchi del VW «Maggiolino» (perché all’interno non entrava) una corona di fiori, ma quando sono arrivato all’ospedale… non c’era più! Me l’ero persa in una curva in basso: l’ho trovata rifacendo la strada indietro.
Un’altra volta è arrivata un’urna cineraria dall’Inghilterra! Così, come un pacco normale, con la sua etichetta.
Lettere, pacchi… altro?
I telegrammi. Terribili quelli in lingue che non conoscevo. Quando c’era un avvenimento speciale, per esempio un matrimonio importante, i telegrammi fioccavano da tutto il mondo. Ce li dettavano lettera per lettera, noi li dovevamo scrivere e consegnare. Un lavoraccio. È successo anche in occasione della morte di Varlin. Comunque, meglio dieci telegrammi che un abbonamento telefonico!
Per un periodo in Posta c’è stata anche tua moglie Susi.
Andava benissimo, questo lavoro in famiglia, con la possibilità di scambiarci le ore di lavoro. Per esempio, lei non sciava e allora ero io ad andare sulle piste con i figli, mentre lei rimaneva in ufficio.
Indimenticabile è anche il vostro cane, Jessica, sempre nei paraggi.
C’era chi si ricordava il suo nome e non quello del suo padrone!
In merito all’intervista con Claudio Gianotti
L’introduzione all’intervista a Claudio Gianotti di Silvia Rutigliano mi ha lasciata perplessa e vorrei esprimere la mia solidarietà con Ruth Facchetti e Monica Giacometti che hanno assunto il posto come responsabili dell’ufficio postale di Promontogno. È da molto che Ruth sostituiva Claudio Gianotti durante le sue vacanze estive, come anche in autunno al tempo della caccia e l’ho conosciuta come impiegata competente e sempre molto gentile. Monica Giacometti e suo marito hanno gestito per anni l’ufficio postale di Vicosoprano e non mi risulta che ci sia mai stato niente da ridire nemmeno nei loro confronti. Non vedo dunque perché la Posta non avrebbe dovuto premiare due sue valide impiegate, tanto più che tutte due parlano fra altro anche bregagliotto. Il punto dolente per molte persone è probabilmente il fatto che una delle due abiti in Italia, ma siamo sinceri: neanche il Comune di Bregaglia obbliga tutti i suoi dipendenti a risiedere in valle!
Ivana Semadeni Walther