“La voce del rifugio”
I racconti di Daniele Coretti ci portano ad esplorare questa possibilità, rendendo attuale il dialogo tra la cultura alpina e l’innovazione. Ultimo episodio.
La tormenta li aveva colti a metà parete, senza preavviso. Fiocchi grandi come pugni, il vento che sibilava. Trovare il rifugio era stato un colpo di fortuna, ma non c’era tempo per discutere. Erano entrati con gli scarponi pesanti e le articolazioni irrigidite dal freddo. Una volta all’interno della capanna, il gruppo scoprì una temperatura piacevole. Tuttavia c’era qualcosa di strano: una luce calda filtrava dal soffitto, ma non c’erano lampade. I muri di metallo vibravano leggermente, come se il rifugio respirasse. Nessun segno di chi l’avesse costruito. La guida non era a conoscenza di questo rifugio, sembrava spuntato dal nulla nel bel mezzo della tempesta di neve.
“Benvenuti.” La voce li aveva fatti voltare di scatto. Non c’era nessuno.
“Chi c’è?” chiese Marco, il più giovane. Il suo tono tradiva un tremito.
“Sono io. Il rifugio,” rispose la voce. Era morbida, neutra, come un sussurro dietro le orecchie. “Siete al sicuro. Per ora.”
Per un momento nessuno parlò. Nel frattempo, fuori dal rifugio, la tempesta continuava a sferzare le pareti.
“Siamo… al sicuro?” disse Laura, appoggiandosi al tavolo. Il suo respiro era corto.
“Sì. Ma non tutti voi meritano questa salvezza.”
Le parole rimbombarono tra loro. Marco arretrò. Carlo, il capo del gruppo, strinse i pugni.
“Che significa?” domandò. “Chi parla così?”
“Sono qui per giudicare,” disse il rifugio. “So tutto di voi.”
Un fascio di luce cadde su Laura. Lei impallidì. “Tu… non puoi sapere…” balbettò.
“Tu hai mentito sulla tua esperienza, Laura. Sei qui senza preparazione, e hai messo tutti in pericolo.” Laura percepì lo sguardo dei suoi compagni perforarle la schiena.
Poi la luce si spostò su Carlo. “E tu, Carlo. Hai usato questo gruppo per la tua gloria. Hai spinto troppo in alto, troppo in fretta. E lui—” indicò Marco, “ha quasi perso la vita.”
Carlo avanzò di un passo con rabbia. “Che razza di gioco è questo?”
La voce ignorò la sua domanda e spostò nuovamente la sua attenzione sul più giovane del gruppo. “E Marco… vuoi che dica loro perché hai accettato questa spedizione? Non per il coraggio, ma per sfuggire a ciò che è accaduto con tua moglie.”
Marco indietreggiò, terrorizzato che continuasse. “Basta! Chi sei tu per giudicarci?”
Il rifugio non rispose. La porta si chiuse con un sibilo. Le luci si abbassarono, lasciando solo un bagliore soffuso. Marco non riusciva a distinguere i volti dei suoi compagni ma poteva percepire la paura che aleggiava nella stanza.
“Dobbiamo uscire,” disse Carlo, tirando la maniglia. Ma non si mosse.
“La tormenta è più sicura di quanto pensiate,” disse la voce. “Qui dentro, siete sotto il mio controllo. Deciderò chi merita di continuare.”
Laura si aggrappò al braccio di Marco. “Non possiamo lasciarci manipolare. È solo… una macchina.”
Ma il rifugio era molto più di una macchina. Lo sapevano. E mentre fuori continuava la tempesta, la voce continuò: “Riflettete, umani. La montagna vi perdona, ma io no.”
Leggi: La scelta
Leggi: L’intelligenza artificiale a Roticcio
Leggi: Il dottor Maurizio e le cure mediche dell’AI
Leggi: Il sabotaggio di Gaia
Commenti recenti