Il sabotaggio di Gaia
I racconti di Daniele Coretti ci portano ad esplorare questa possibilità, rendendo attuale il dialogo tra la cultura alpina e l’innovazione. Le macchine ora governavano le terre che una volta erano appannaggio dei contadini.
Lungo la strada alta, un gruppo di contadini si riunì nella stalla di legno di Tommaso, l’unica illuminata da una vecchia lampada a sospensione. Il legno scricchiolava sotto il peso dei loro passi. Sulle pareti, strumenti di lavoro e vecchie foto dei migliori raccolti. Al centro, un tavolo robusto, coperto di schemi elettronici e appunti sparsi.
Le macchine agricole e i robot destinati alla raccolta erano rientrate nel dormitorio e il sole era calato.
“Gaia ci sta rubando il lavoro,” disse Filip, il più anziano, mentre gli altri annuivano in silenzio. Gaia, l’intelligenza artificiale installata dal signor Stanley, aveva trasformato Soglio in un laboratorio tecnologico. Le macchine ora governavano le terre che una volta erano appannaggio dei contadini. I robot agricoli effettuavano la semina, la potatura e il raccolto e decidevano se e quanto irrigare, distribuire i fertilizzanti.
Luca, il più giovane, sfogliava nervosamente gli schemi elettronici del computer centrale che rappresentava il nucleo di Gaia. “Possiamo disattivarla, ho visto come fare. Ma è rischioso,” aggiunse, incrociando lo sguardo con Tommaso.
“Siete certi di volerlo fare? ” chiese Tommaso, il più moderato del gruppo.
Filip prese nuovamente parola: “Io avrei un’altra domanda: cosa succede se non lo facciamo? ” Tommaso rimase in silenzio e Filip proseguì. “Lo vedi che effetto fa sulla gente, non fanno più nulla. I giovani passano le giornate a ubriacarsi e fumare spinelli. Il lavoro ci dà un occupazione. Senza di esso siamo preda della mente e dei suoi demoni… ”
“Dobbiamo riappropriarci delle nostre terre,” disse Tommaso.
Il gruppo si trovò ad annuire.
Decisero di agire la notte seguente. Luca si scambiò uno sguardo determinato con Filip. Gaia si trovava in un capanno protetto, ma Filip era riuscito a fare una copia delle chiavi di accesso. Una volta al suo interno si trovarono davanti un gigantesco computer che ronzava. Gaia non dormiva mai. Luca aveva studiato gli schemi elettrici. Non si poteva togliergli la corrente in quanto Gaia era fornito di un meccanismo di sicurezza. Quello che poteva fare era creare un cortocircuito. Luca si avvicinò alla console centrale di Gaia, i suoi occhi scorrevano rapidamente i diagrammi che aveva memorizzato, cercando il punto debole nel labirinto di circuiti e fili. Filip lo osservava, tenendo in mano una torcia. “Qui,” sussurrò Luca, indicando una giunzione dove diversi cavi di alimentazione convergevano. “Se riusciamo a sovraccaricare questo nodo, il sistema di sicurezza dovrebbe isolare automaticamente il settore per prevenire danni maggiori, spegnendo Gaia temporaneamente.”
Filip annuì, passando a Luca un piccolo dispositivo che avevano costruito insieme. Era un iniettore di corrente, in quel modo avrebbero creato un picco di corrente senza lasciare traccia di manomissione. Luca collegò l’apparato all’interfaccia di accesso vicino al nodo che avevano individuato.
“Pronto?” chiese Filip, la voce bassa quasi soffocata dal rumore costante dei ventilatori di raffreddamento del supercomputer.
“Pronto,” rispose Luca, e premette il pulsante dell’iniettore.
Le ventole emisero un sibilo e le pale rallentarono. Poi, improvvisamente, il silenzio. Non solo nel capanno, ma in tutta Soglio. I droni che sorvolavano il paese scesero a terra poggiando sui campi. In quel silenzio a Filip parve di udire il respiro della natura che ricordava da ragazzino, prima che Gaia si installasse a Soglio. E per un istante riassaporò quella sensazione di libertà che aveva sempre provato nella natura selvaggia della montagna.
Era una vittoria, probabilmente il Signor Stanley avrebbe rimesso Gaia in funzione, ma era comunque una vittoria.
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