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La famiglia Giacometti incontra il Giappone

22 agosto 2024

ManifestazioneSabato 17 agosto, nel salone Giacometti, si sono festeggiati i 160 anni dalla firma del Trattato di amicizia tra Svizzera e Giappone. Pomeriggio stimolante.


Per l’occasione Joji Mita fa un excursus storico sui rapporti tra Giappone e Occidente, proibiti tra il 1639 e il 1854 sotto lo shogunato di Edo, eccezione fatta per olandesi e inglesi.

Il signor Joji, appassionato d’arte, già direttore della JAM Gallery di Lucerna e in costante promozione della reciproca conoscenza tra la cultura giapponese e quella svizzera, mostra i primi contatti avvenuti: la collezione del primo ministro inglese che visse in Giappone, Rutherford Alcock, esposta in occasione della prima Esposizione Mondiale nel 1852; la ricchissima raccolta del presidente dell’Unione orologiai a capo della delegazione svizzera che firmò il trattato del 1864, Aimé Humbert-Droz, divenuto poi un doppio volume pubblicato da Hachette:” Tour du Monde 1866-69″ .

L’influenza che l’Ukiyo-e, stampa su carta con matrice di legno, ebbe nell’ambiente artistico europeo a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo è visibile in alcuni quadri di Augusto Giacometti dove spicca il tipico “blu di Prussia” o la spuma delle onde, per Hokusai davanti al Monte Fuji, qui sopra il Sasc Tacà.

Più nello specifico viene raccontato l’incontro, negli anni Cinquanta tra grandi personalità che Parigi mescola, unisce e completa, provenienti dalla Svizzera, dall’Austria e dal Giappone. È il caso di Alberto Giacometti, Soshana, al secolo Susanne Schüller e Isaku Yanaihara: pittori, filosofi appassionati di esistenzialismo, liberi là dove c’è il savoir vivre, dove si può bere un caffè con Picasso o Jean Paul Sartre. L’arte, sostiene Joji Mita, è un importantissimo binario diplomatico.

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Fotografia di Roberto Lisignoli.

Un’imprevista sorpresa la testimonianza di persona di Peter Knapp: un’entusiasta giovanotto del 1931 che, alla direzione della rivista “Elle” liberò le modelle delle quattro pareti patinate degli studi fotografici e dagli stilisti che le sistemavano la posa per dedicarsi alle donne che guidavano, che lavoravano e che volevano sentirsi a loro agio. “Vogue” era per i borghesi, “Elle” per le mogli dei borghesi. Dall’haute couture al prêt-à-porter, dallo stile da vedere allo stile in movimento. “Quanti dei presenti in sala hanno conosciuto Alberto Giacometti?” chiede con fiera provocazione. Un pezzo di storia della fotografia e della comunicazione racconta sé stesso e l’influenza del suo lavoro fin nel paese del Sol Levante.

Marco Giacometti accompagna il pubblico con traduzioni dove necessario, proiezioni e libri da consultare nello stimolante pomeriggio che sul finire lascia la storia e il mito per dedicarsi alla lavorazione del cioccolato.

Anche il laboratorio con Werner e Mitsue Rüegsegger nasce dal connubio svizzero-giapponese dei titolari di The chocola. Raccontano per filo e per segno il passaggio dal seme alla barretta. Le zone di coltivazione sono lungo l’equatore dove agli alberi di cacao sono sempre garantiti almeno 20 gradi, protetti da alberi più alti che lasciano passare il calore proteggendoli dai raggi diretti del sole. La fermentazione dei semi, fino a 60 per ogni frutto, avviene sotto foglie di banano; segue la tostatura, che dona il caratteristico colore marrone ai semi e infine la lavorazione per il burro di cacao o per la massa che darà origine al cioccolato fondente, al latte o bianco a seconda dell’elemento aggiunto. Nobile il lavoro dei professionisti che hanno lasciato giocare i presenti a creare tavolette di cioccolato: piuttosto che esportare il cacao con un ricavo vicino allo zero, Werner e la moglie creano laboratori artigianali di cioccolato lì dove il cacao viene raccolto, garantendo lavoro redditizio e richiestissimo da tutti i golosi del mondo.
Con note esotiche negli occhi e una barretta di cioccolata fai-da-te si conclude la giornata d’arte e d’amicizia tra i popoli.

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Donatella Rivoir

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